“I recinti di filo spinato dell’ignoranza” riflessioni della scrittrice Cristina Alessandro.

Rientrata di recente da un viaggio in Polonia ho ancora negli occhi lo strazio provato ad Auschwitz – Birkenau.

Non che avessi bisogno di toccare con mano per rendermi conto della follia umana, ma trovarsi lì sul posto, mi ha lasciato addosso una desolazione inesprimibile a parole.

Se dovessi spiegare il razzismo a un extraterrestre potrei esordire raccontando che si tratta di un pregiudizio politico e sociale fondato sull’arbitraria convinzione che esistano ceppi umani, per biologia o storia, ritenuti “superiori”, quindi destinati al comando e altri “inferiori”, designati alla sottomissione.

Questa differenza si esprime con discriminazioni e persecuzioni fino ad arrivare al genocidio. Porterei l’esempio più eclatante, quello dei nazisti ai danni degli ebrei, ma altri ancora come l’apartheid della Repubblica del Sudafrica, una segregazione razziale sancita a livello legislativo e istituzionale, riguardante gruppi etnici di colore. Gli atteggiamenti di chi si crede dominante sono di disprezzo ed emarginazione verso chi ha un’epidermide diversa e una cultura differente: per intenderci quelli che definiamo oggi extracomunitari.

Forse il termine razzista propriamente detto, quello che attribuiva un’altra razza al gruppo rifiutato, negandogli un’umanità, si può identificare come “differenzialista”.

Rimane comunque un’affermazione di incompatibilità all’arrivo di nuove identità culturali, nazionali e religiose. In qualche modo favorisce la mentalità che gli stranieri debbano rimanere tali, vivendo tra di loro e mantenendo i propri riferimenti culturali, i propri valori, senza mischiarsi alla maggioranza. Magari è proprio quello che pensa di noi terrestri il mio fantomatico marziano.

In questo momento, con tutto l’odio che ho avvertito nei lager abbandonati, pur palpitanti di echi remoti, vorrei convolare su un altro pianeta, sperando di respirare una boccata di umanità perduta.

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