“Giochi di parole” riflessioni della scrittrice Cristina Alessandro.
Martedì scorso alla conferenza de “Il lettore di Dante” abbiamo letto il 31° canto dell’Inferno (IX cerchio) e assistito all’incontro del protagonista e della sua guida con il gigante Nembrond, il cui linguaggio incomprensibile rimanda alla leggenda della torre di Babele.
Costruita in Mesopotamia da uomini affamati di gloria con l’intento di arrivare a Dio, rimase incompiuta per volere divino. La punizione per aver contravvenuto ai comandi dell’altissimo fu quella appunto di “confondere le lingue” e dare origine a idiomi diversi.
Anche senza rivestire il “verbo” della sacralità evocata dal sommo poeta, ho un gran rispetto per l’uso delle parole come veicolo espressivo. È una bella responsabilità per tutti e in particolar modo per noi autori utilizzarle con attenzione ed etica.
Forse il desiderio di studiare lingue al liceo è derivato proprio dalla mia sfacciata curiosità di capire più persone possibili. Riuscire ad interagire, a sorridere o emozionarsi in tutte le parlate del mondo resta il mio sogno più ambito. Eppure già intendersi e interpretarsi, anche utilizzando l’italiano risulta assai difficile.
Le parole, nella loro singolarità, esprimono un’idea universale, ma dovrebbero essere formulate e recepite con chiaro intendimento da entrambe le parti. Il mittente esprime, il ricevente traduce. Invece si scivola spesso in assurdi fraintendimenti, svilendole.
In questo slang moderno, nel quale fatico a ritrovarmi, mi rendo conto che esse vengono maltrattate, strattonate di qua e di là come una gomma da masticare che si allunga e accorcia a seconda di come le si maneggia. Ecco che anche il significato che le incarna si modifica a guisa del momento, del mood di chi le libera come fiato. La correttezza nell’esporre sottende l’estrema coerenza di volersi mettere in gioco senza maschere. Altrimenti sono semplici “Parole, parole, parole, parole, parole, soltanto parole tra noi…” come cantava la mitica Mina, poi “Tutto il resto è noia”, tanto per concludere sempre con una citazione canora.
La democrazia della scrittura permette di spaziare, eclettica, da Dante a Califano…
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