“Compassione: val sempre la… pena!” riflessioni della scrittrice Cristina Alessandro.
La compassione (dal latino cum patior – soffro con – e dal greco sym patheia -, provare emozioni con) è un sentimento in estinzione.
Percepire d’acchito la sofferenza che guizza sotto la pelle dell’altro e desiderare di alleviarla, dovrebbe far parte del nostro patrimonio genetico, risultarci istintivo.
Al contrario, mi pare poco in voga ai giorni nostri. Non sono una fautrice del “porgi l’altra guancia”, ma neppure del menefreghismo più totale. Una spolverata di sano egoismo è necessaria, l’aridità emotiva, invece, un suo eccesso spropositato.
È sempre troppo sottile il confine che delinea il farsi gli affari propri dal voltare lo sguardo e fingere di non vedere. La società ci vuole competitivi: il successo personale vale di più di una condivisione che potrebbe essere di utilità comune.
Mors tua vita mea, dicevano gli antichi: una massima evergreen che alla lunga non consola. Se non fosse tragico, mi verrebbe da sorridere al pensiero che il lutto sia il maggior collante emotivo di tutti noi, secondo solo al tifo smodato di una finale della nazionale di calcio.
Quando accade una tragedia da prima pagina, persino le coscienze più ottenebrate dall’individualismo paiono riscuotersi. Sui social, in particolare, si sprecano post di cordoglio e di partecipazione accorata. Devo ammettere che però, anche in questo caso, si tratta di una compassione selettiva che predilige vittime riconducibili alle nostre categorie di riferimento: meglio se simili a quelle di casa nostra, piuttosto che disseminate tra la vegetazione lussureggiante di società meno complesse.
La distanza allenta un po’ le maglie della compartecipazione sentimentale e si disperde fiacca. In televisione si vedono ogni giorno scene raccapriccianti che mi fanno vergognare di appartenere alla razza umana, compiuti contro l’uomo o l’ambiente. Si può sempre cambiare canale, annoiati nel rivedere le stesse atrocità: scene di guerra che si protraggono da anni per una libertà utopistica.
Sorvoliamo, per leggerezza, di soppesare la fortuna che ci è toccata in sorte nell’essere nati dalla parte giusta del globo, dove tutto sommato si può ancora abitare da indifferenti, ma con un certo decoro.
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