“Chi non ride, rode” riflessioni della scrittrice Cristina Alessandro.
L’ironia intacca ristagni di disincanto: funge da “sgorgascorie” emotive. Saper sorridere delle proprie disavventure è spesso salutare. C’è chi nasce fortunato, coccolato dall’influsso propizio dell’umorismo, chi, invece, deve impegnarsi a fondo per convertirsi al suo richiamo.
Le avversità sopravvengono inevitabili, tanto vale sbigottirle con armi spuntate, caricate a satira.
Come nel regno animale, o si soccombe mansueti al cospetto del capo branco, spalmati al suolo, il ventre esposto, o si attacca per primi lanciando dardi di paradosso.
A volte si fa dello spirito per dissimulare i sentimenti più profondi, per proteggerci dietro a una leggiadra attitudine comica, evitando un piagnucolante disfattismo.
Mi è capitato di stemperare l’imbarazzo con una battuta briosa: espediente rimediato per riequilibrare la graffiante dissonanza tra verità e suo contrario. I fardelli, anche i più onerosi, si riducono grazie a lievi sfumature di grottesco.
Ridere con arguzia fa bene, se non si scade nella derisione, verso gli altri o ai loro guai.
L’ironia si appioppa e si subisce, bisogna saper stare al gioco con spirito. Se qualcuno si offende è affar suo: convivere in comunità richiede pazienza ed elasticità mentale.
Ridimensionare il proprio ego diventa un allenamento utile, da non sottovalutare mai. Permette di entrare meglio in sintonia con chi ci sta vicino, ci rende umani con le nostre friabilità esposte. Se irrita, al contrario, è solo perché evidenzia le ambiguità del mondo, sgretolando ogni certezza.
“Fatti non foste a viver come bruti” citava Dante: con una buona dose di sagace dileggio possiamo quindi mirare a “seguir virtute e canoscenza”.
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